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  • Immagine del redattoreStefania_Ory

Panno azzurro

Aggiornamento: 21 ott 2020

"E se proviamo con l'altro cocktail di farmaci? Sembrava avesse dato buoni risultati, no?". No. Annuí per convenzione ma lo sentivo che avrebbe voluto essere ovunque pur di non essere lì difronte a me a dirmi banalità. "Possiamo provare. È debilitato ma ci possiamo provare." Lo disse con un unico fiato, velocissimo, sospirato, fatto per non farsi sentire. Guardai fuori dalla finestra. Il cielo era limpidissimo. Così limpido che per un momento ho provato un senso di vertigine, di smarrimento. Continuai a roteare gli occhi in quel panno azzurro perfetto, cercando una macchia, un volo d'uccello, una nube. Qualcosa che mi salvasse da tutto quell'azzurro. Abbassai lo sguardo per salvarmi e quando lo rialzai si mosse verso quello dell'uomo che era difronte a me. Lui non aveva alcuna intenzione di salvarmi, lui non ricambiò il mio sguardo. "Quando possiamo iniziare?" chiesi. L'uomo si continuava a lisciare la cravatta nervosamente mentre sfogliava la cartella, i fogli tenuti dagli anelli metallici, fogli pallidi e sgualciti. "Direi subito. Domani darò indicazioni in merito, proviamo già da dopodomani. Non possiamo fare di più." Lo disse con un tono metallico che non avrebbe accettato altre interazioni da quel momento in poi. Uscii lentamente con la speranza che mi richiamasse all'ultimo, dicendomi che aveva in mente anche un'altra idea. Ma mi ritrovai in strada e poi alla fermata della metropolitana e poi su per il viale del quartiere che mi avrebbe riportato a casa, senza più sentire la sua voce. Dunque non mi chiamó, non mi trattenne. Ero stata abbandonata immediatamente. Avevo bisogno che la notte scorresse veloce, perché dovevo andare da lui. Cercavo di sfiancarmi durante il giorno e di andare a letto il più tardi possibile, così il sonno era breve ed era presto luce e mi sarei potuta vestire e uscire e andare da lui. Quella mattina mi aspettava in piedi da dietro la finestra. Allungai il passo quando lo vidi lì, impalato. Una volta entrata nella stanza salutai prima il suo compagno al letto di fianco e poi mi girai a guardarlo ed esclamai la cosa più idiota da dire "Ma che pigiama ti sei messo?". Lui allargò un sorriso sui suoi denti bellissimi. Come assomigliava a mio padre, certe volte, mi emozionavo a guardarlo. Poi gli accarezzai i capelli e la mano scese sul viso. Lui mise la sua sopra e quella carezza ferma tra noi rimase lì per qualche secondo. Poi ci accorgemmo che non eravamo soli, il nodo si sciolse e lui si stese sul letto. "Ci hai parlato?" mi chiese. "Sì, ieri. Ha detto che si può fare." Non lo guardai, gli stavo sistemando le lenzuola, non mi guardò perché stava guardando fuori. Anche lui annegato in quel panno azzurro perfetto di cielo. Parlammo del nulla perché era l'unica cosa che ci permettesse di respirare. Tutti gli altri discorsi ci erano preclusi e noi eravamo ubbidienti, non ci ribellavano a quella imposizione. Ci dava sicurezza parlare del nulla, la banalità dei gesti e delle parole erano il nostro cuscino morbido. "Te lo devi cambiare questo pigiama, è orribile, non lo so neanche io perché te l'ho portato tra i vari cambi!" Lui mi tirò a sé e mi strinse forte "Ma stai zitta due minuti!" Io sorrisi ma lui non lo vide, ero chiusa al suo petto di uomo ormai, mica era più quel grissino che stringevo fino a qualche anno prima. Sorrisi e avrei voluto spegnermi così, smettere di respirare schiacciata a lui, togliermi da quella stanza, da quel pigiama orribile, da quella nauseante puzza di alcool etilico, da quella luce, da tutta quella luce inutile che entrava dalla finestra. Ma non fu così. Non fui graziata da nessun Dio, il mio egoismo era nauseante e il tanfo deve essere arrivato anche ai piani alti. Quando mi chiamarono tre giorni dopo, gli avevo appena comprato un pigiama elegante di quelli con un bel filo di scozia, di quelli che solitamente si regalano ai nonni in qualche occasione importante. Lo buttai a terra e la mia corsa fu infinita, devastante, nonché completamente inutile. Quando entrai nella stanza vidi facce mai viste prima. La voce uscì fuori potente ma non me ne resi conto, vidi solo un fuggi fuggi generale ed io finalmente da sola con lui. Chissà dove se ne era andato lasciandomi lì da sola con quei suoi bei denti bianchi e i suoi capelli puliti. Le braccia nervose stese lungo il corpo, la testa voltata appena verso la finestra. Mi stava aspettando? "Dove te ne sei andato?" gli gridai e nel farlo gli girai la testa verso di me tenendola tra le mani come se fosse di cristallo. Lui quieto sembrava riposasse di quel sonno leggero, pomeridiano, non il sonno denso della notte ma quello lieve pronto al risveglio improvviso. Sorrisi quando mi accorsi che aveva ancora quel pigiama, avrebbe voluto farmi dispetto, avrebbe voluto vedermi sorridere, ne sono certa. E dove ero io, nel momento in cui stanco, si è poggiato sul letto tirando la testa indietro sul cuscino? Ero a scegliere filati di Scozia. E dove ero io quando ha socchiuso gli occhi? Cosa ha guardato prima di spegnere la luce? E prima di finire in quel letto, avrà fatto bene l'amore, si sarà mai ubriacato in vita sua, avrà vinto qualche scommessa? E quali bugie mi avrà detto, cose che non saprò mai perché così deve essere? Avevo urgenza di saperlo, dovevo sapere se tutto quello che stava accadendo avesse un senso che ignoravo, io al cospetto di tanta bellezza, tanta potenza immobile, ferma sotto il mio sguardo. Alzai gli occhi alla finestra. Gli occhi a pennellare l'azzurro meschino che lo aveva visto andare via. Ancora una volta un panno di velluto azzurro perfetto, né un volo d'uccello, né una nube. Nessuno m salvò.





 

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